Yoga in plein air per restare zen: svelato il segreto degli adepti

#Bonjour #Paris n. 31-23/08/2018 Niente ieri ho scoperto il segreto degli yogi, i praticanti dello yoga. Ho rintracciato la fonte della loro inspiegabile euforia e di quel loro spirito peace&love malgrado tutto.
Mi spiego: Pausa pranzo, ore 13:20. Dopo aver degustato un leggero e dietetico petit pain au lardon (paninetto alla pancetta, in pieno spirito yoga) sotto un sole torrido, mi imbosco letteralmente tra i cespugli del giardinetto pubblico, approfittando dell’assenza dei giardinieri e lontano da sguardi indiscreti.
Srotolo il tappetino, resto scalza, e mi do a fondo nella successione dei primi gesti che mi vengono in mente: inspirazione – posizione del gatto – espirazione – posizione della mucca e via in loop.
E’ nel giro di neanche due minuti che mi rendo conto dell’odore che pervade le mie narici e un intenso benessere mi fa riflettere, con una convinzione che non credevo mi appartenesse: “ma quanto fa bene fare yoga in pausa pranzo!”
Ecco, è a quel punto che il mio sguardo cade su una favolosa pianta di canapa. Non è profumata, di più. Piccola, ma con qualche fiore. Bello fare yoga a contatto con la natura…! Non sento più troppo il caldo. Mi concentro sulla respirazione, sull’istante presente, sul qui e ora…e stop! I miei colleghi mi chiamano, è ora di rientrare in ufficio!
P.S. Confesso. Ci tengo per dovere di cronaca: in soli 20 minuti di yoga en plein air mi sento più rilassata e il dolore alla sciatica è scomparso.
P.P.S. Ma vorrei a questo proposito aprire una piccola parentesi sulla piantina in cui mi sono imbattuta: a inizio giugno il primo coffee shop legale di Parigi, in rue Amelot, nell’XI arrondissement, è stato vittima del suo successo e ha dovuto abbassare temporaneamente la serranda perché preso letteralmente d’assalto. Dicono che la coda quotidiana fosse interminabile e dopo una settimana non abbia retto alla domanda. Ma spiego un attimo: il termine “coffee shop” è probabilmente inadeguato perché la legislazione francese non ammette la vendita di erba dagli effetti psicotropi, come avviene ad Amsterdam. Si dovrebbe parlare piuttosto di “grownshop”: vi si possono comprare semi, materiale per coltivare, libri dedicati alla cultura e coltura della cannabis… L’inaugurazione di questo negozio è stata incoraggiata dalla recente scoperta da parte di un giurista che un articolo del Codice della Salute francese è stato modificato nel 2007 aprendo la strada all’autorizzazione della produzione, vendida e consumo di THC in forma naturale. Si tratta di una legislazione un po’ meno restrittiva rispetto alla vendita di prodotti contenenti cannabinolo (la molecola della cannabis terapeutica) e una presenza minima (inferiore allo 0,2%) di THC, il tetraidrocannabinolo, la sostanza psicoattiva alla quale si devono le virtu rilassanti e antidolorifiche della ganja (anche se su questo punto la comunità scientifica si divide). Intanto il giornale Le Parisien titolava qualche mese fa “Cannabis: L’inquientante successo dello “spinello” elettronico“, facendo riferimento alle sigarette elettroniche da caricare con liquidi contenenti esclusivamente cannabinolo, senza THC. Acquistato su internet o presso delle boutique di liquidi da vaporizzare, il suo uso commerciale è permesso proprio in virtu del fatto che sia rispettata l’assenza o la quantità minima di THC. Perchè la legislazione francese resta comunque una delle più restrittive d’Europa, su questa questione, malgrado registri livelli di consumo più alti che nei Paesi Bassi o in Spagna. Con buona pace dei movimenti antimafie che si battono per la depenalizzazione…