116 anni di J’accuse, la verità è un’arma di giustizia
“La vérité est en marche
et rien ne l’arrêtera.
Qui souffre pour la vérité et la justice
devient auguste et sacré…
…Il n’est de justice que dans la vérité.
Il n’est de bonheur que dans la justice.”
Emile Zola
(“La verità è in cammino
e niente la fermerà.
Chi soffre per la verità e la giustizia
diviene augusto e sacro…
…Non c’è giustizia se non nella verità.
Non c’è felicità se non nella giustizia”).
Questa scritta è incisa sul marmo che si staglia in Place Alfred Dreyfus, tra Avenue Emile Zola e rue Violet, nel XV arrondisment, a Parigi.
Queste parole citano il celebre “J’accuse…!” di Zola, lettera pubblicata su “l’Aurore”, 116 anni fa, il 13 gennaio 1898, indirizzata al Presidente della Repubblica Félix Faure, per proclamare l’innocenza di Dreyfus, capitano dell’esercito francese, condannato, degradato e deportato in Guyana francese per alto tradimento. In quanto alto ufficiale di fede ebraica, Dreyfus era in realtà un capro espiatorio ideale per giustificare la sconfitta inaspettata della Francia nell’ambito della guerra franco-prussiana, collocandosi nell’ambito di una violenta ondata di antisemitismo.
Per questo articolo, Zola fu condannato, per diffamazione, a scontare un anno di carcere e a pagare 3000 franchi di ammenda. Trascorse qualche mese a Londra, in esilio, e morì a Parigi il 29 settembre del 1902, a causa delle esalazioni di monossido di carbonio, dovute all’ostruzione (dolosa?) della canna fumaria di una stufa.
Quattro anni dopo, il 12 luglio 1906, la Corte di Cassazione revocò la sentenza e Dreyfus fu reintegrato nell’esercito.